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Questo blog è in chiusura. Davvero. Non ne posso più di vederne la lenta agonia. Con la fine di questo anno 2010, lo chiuderò definitivamente.

Grazie a tutti quelli che sono passati, anche solo una volta per sbaglio.

Ma non finisce qui. Chi volesse può trovarmi nella più modesta Dolphin Kitchen, un hotel era davvero troppo grande da gestire!

Lunedì primo novembre. Sono le nove di sera e sono appena approdato a Cadorna, scendo dal Malpensa Express e realizzo due cose: ho fame; il frigo a casa è vuoto (ma veramente vuoto). Soluzione: un trancio di pizza da Spizzico. Entro, ordino, mi siedo.

Ci sono io, un orientale con valigia, due amiche sudamericane, un bauscia con la sua badante/amante estera non proprio bellissima. E poi tre senzatetto o, se preferite, barboni. Due sono “di casa”, hanno l’aria di chi ci viene tutte le sere. E infatti entrano con aria indifferente, vanno in bagno e si lavano. Poi si asciugano e si cambiano. Commentano alludendo alla terza. Che invece ha l’aria mogia di chi si vergogna. E’ piena di buste della spesa. E’ nuova, dicono gli altri due, ma vedrai che prima di Natale ci viene tutta Milano qua. Poi raccoglie le sue buste e se ne va, alla ricerca di un posto per la notte, immagino io.

Il tutto illuminato dalle luci finte del locale, circondati da gigantografie di famiglie con bambini, gruppi di amici che mangiano una bella pizza fumante. Realtà e finzione. Ogni tanto è bene ricordarselo e farselo ricordare.

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Prima di sbarcare a Cadorna ero in treno. E prima ancora in aereo. E prima ancora in un autobus. In tutto questo tempo, mi sono letto il breve saggio del compianto Edmondo Berselli, L’economia giusta. Nel leggere questo testo, pieno di citazioni e riferimenti a economisti, filosofi, storici, gente che insomma io ho incontrato nei miei studi, ho avuto ulteriore conferma del mio oramai grave analfabetismo intellettuale. Se voglio essere più buono con me stesso dirò: perdita di memoria.

A parte ciò, il saggio si chiude con una constatazione lucida, ovvero con una sorta di – condivisibile – profezia: dovremo abituarci all’idea di essere più poveri di quanto siamo oggi. Il nostro sistema economico sta evidentemente implodendo, non riconoscerlo è un esercizio di grettezza intellettuale. O di propaganda televisiva, fate voi.

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Giovedì quattro novembre. Finita la lezione di inglese mi avvio in metropolitana in compagnia del mio insegnante nord irlandese che, per l’ennesima volta, sto indottrinando sulle miserie politiche del nostro Paese in generale e dell’attuale maggioranza in particolare. Ci raggiunge un altro suo collega, inglese, che indovina subito: non starete parlando di Berlusconi per caso?

Dopo più di dieci anni in Italia, lui si è fatto una sua idea del nostro popolo, della nostra cultura della (il)legalità diffusa e mi dice una cosa molto semplice, paragonando l’Italia all’Inghilterra. Il concetto di società e la sua declinazione elementare: la famiglia. In Inghilterra, mi dice, la mia famiglia non è contenta se un’altra famiglia non vive bene. Perchè in quella famiglia magari mancherà l’istruzione, i figli cresceranno abbandonati a se stessi e un domani è possibile che finiscano per rubare in casa mia. Quindi la mia famiglia si impegnerà affinchè anche l’altra famiglia possa migliorare la propria condizione. Così si costruisce una società.

In Italia, viceversa, l’importante è che la mia famiglia (allargata, clientelare) stia bene. Di come sta un’altra famiglia non me ne frega un granchè. Non si può costruire una società su queste basi.

Sono d’accordo con le obiezioni, si tratta di una eccessiva semplificazione condita da pregiudizi; ma ci intravedo comunque un fondo di verità. E si rafforza la convinzione che in questo Paese non cambierà mai niente.

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Venerdì cinque novembre. La settimana è finita. Evviva.

Hai paura del paese reale?

Questa mattina, causa interruzione della metro, ho dovuto rivedere i miei piani logistici per raggiungere l’ufficio. Alla fine la mia salvezza è stato un taxi. Salgo. C’è la radio accesa, sono le 9 passate. L’emittente è 105 e lo speaker è “il capitano” (presumo sia Marco Galli, non me ne voglia). Il tema del giorno, su cui si destreggia con evidente mestiere il conduttore radiofonico, era l’imminente voto di fiducia sul governo Berlusconi. Con tutti gli annessi e connessi di qualunquismo e sparate a zero sulla oramai ben nota casta. Per essere à la page, non sono mancati riferimenti alla Woodstock a 5 stelle (manco fosse un agriturismo) di Beppe Grillo.

Al di là di questo, quello che mi ha sinceramente turbato sono stati gli sms e le mail degli ascoltatori. Durante il tragitto, che sarà durato poco più di un quarto d’ora, lo speaker ne avrà letti almeno una ventina. La stragrande e netta maggioranza di questi erano del tipo: “è ora che torni un nuovo duce”; “fondiamo il partito del manganello”; “cacciamo questi politici senza palle, serve un duce con i coglioni”; “per spalare via la merda da questo paese serve una dittatura”; etc. etc.

Va detto che “il capitano” ha preso le giuste distanze da tutti questi messaggi, addirittura osando affermare che aveva sentito un discorso di Vendola e gli era tutto sommato piaciuto (subito un sms in diretta gli ha dato del comunista).

Ma, ripeto, il mio turbamento (e il mio schifo) sono derivati dalla quantità di messaggi dello stesso tono mandati ad un emittente nazionale di un certo livello, sì insomma non la radio di qualche gruppo estermista.

E allora penso alla degenerazione della democrazia in oclocrazia, nel governo della teppa, della gentaglia. Forse è questo quello che ci attende? E’ questo il paese reale?

Non sta a me poi ricordare che l’oclocrazia è l’anticamera della monarchia prima e della dittatura poi.

E’ andata bene. E’ andata veramente bene. E’ andata che il sogno si è realizzato.

Ma all’inizio, non lo potevo sapere. Nessuno lo poteva sapere.

Certo, la suora che mi dava la sua benedizione – speriamo di farcela stasera – non aveva proiettato davanti a me scenari luminosi. Per scacciare i cattivi pensieri, sotto con la prima birra.

La piazza è un crogiolo di sudore, grida, facce diverse e magliette uguali.

Tutti condividiamo la stessa attesa.

I ragazzi davanti che broccolano una stangona di provenienza estera cercando, con del mediocre vino bianco, di guadagnarla alla causa….la loro ovviamente, non quella della Beneamata.

La ragazza minuta che, per trovare una migliore visuale per le sue foto, mi urta e fa si che la seconda birra mi bagni a dovere.

Il ragazzone partenopeo alla mia sinistra, partito alle 6 di mattina per venire a vedere la partita a Milano e che – mi confida con un certo orgoglio – ha già appuntamento a settembre con il suo tatuatore di fiducia per farsi disegnare il faccione di Zanetti (Capitano, O Mio Capitano) sull’avambraccio destro.

E poi mio fratello e mio padre, di nuovo riuniti a vedere una partita sperando di allontanare brutti ricordi e sinistre maledizioni.

E l’urlo liberatorio di una piazza intera, padri figli nipoti, per una gioia aspettata da tanto, troppo tempo.

Semplicemente, è stato bello esserci.

E vedere poi la città accendersi in un delirio nerazzurro, senza se e senza ma, per celebrare la Storia.

Tra qualche giorno, una settimana più o meno, si voterà nel Regno Unito per eleggere un nuovo parlamento e, complice il fatto che il mio insegnante di inglese è  pure british (potrebbe sembrare scontato ma non sempre è così!), ho cominciato a seguire più da vicino le vicissitudini politiche della Gran Bretagna.

Dalle nostre conversazioni e da alcuni articoli letti ho scoperto l’esistenza di questo progetto chiamato “Give your vote”.

L’idea alla base di questo progetto, da quanto ho potuto capire, è la seguente. In un mondo globalizzato come quello odierno, le scelte politico-economiche-militari di qualunque nazione del mondo cosiddetto Occidentale influenzano pesantemente la vita nelle nazioni più povere: quindi gli abitanti di queste nazioni dovrebbero avere “voce in capitolo” sulla politica interna delle nazioni ricche, poiché questa le riguarderà da vicino – e qualcuno si chiederà dove sta la novità, in fondo ai tempi del colonialismo l’influenza era ancora più diretta.

Comunque, partendo da questa idea, l’iniziativa consiste nel “concedere” il proprio voto ad una persona residente in Afghanistan, Ghana o Bangladesh, tre nazioni in cui gli organizzatori di questa iniziativa hanno ravvisato un maggiore riflesso delle scelte politiche “locali” del governo di Sua Maestà.

In sostanza, aderendo al progetto, un cittadino britannico si impegna a votare per il candidato scelto da un suo “concittadino estero”. Il ragazzo afghano, a sua volta aderente al programma seguirà i dibattiti, si informerà (per le strade di Kabul o di Accra sono comparsi i manifesti di Brown, Clegg e Cameron), deciderà e poi invierà la sua intenzione di voto al suo avatar (?) inglese.

Non penso che dietro questa campaign ci sia la volontà di iniziare un percorso che porti ad un futuro “parlamento globale” (che a me, scusate, fa venire in mente il senato galattico di Guerre Stellari ), poiché gli enormi problemi che già oggi abbiamo con il parlamento europeo dovrebbero farci capire che non è una strada realmente percorribile (sussulto di realpolitik?).

Credo invece che sia una iniziativa concreta, e non simbolica, per sensibilizzare e dare consapevolezza che le nostre scelte influenzano una comunità più ampia di quella delimitata dai confini geo-politici e che quindi anche questa comunità oltre confine ha diritto di farsi sentire. Mi auguro davvero che simili iniziative possano svilupparsi anche in Italia.

Chiudo segnalandovi il sito di Egality, ovvero l’organizzazione di volontari dietro la campagna Give your Vote.

Toxicity

1. Ti sei mai sentito affaticato senza alcuna ragione apparente?

2. Ti sei mai sentito “legnoso” o senza vita?

3. Hai mai provato un “flashback” da droghe?

4. Ti senti meno sveglio di come eri in passato?

5. Qualche volta hai la sensazione di sentirti la testa vuota o hai la sensazione di essere “lontano”‘?

6. Ti senti irritabile sena causa o ragione?

7. Hai dolori ed acciacchi inspiegabili?

8. Trovi difficile entusiasmarti riguardo a persone o cose?

9. Ti trovi ad essere ansioso e non sapere perché?

10. Hai problemi ad imparare cose nuove anche quando ti interessano?

Da un volantino di Scientology che mi sono ritrovato nella buca delle lettere.

C’è davvero grossa crisi in giro!!

Domani sarà il sabato del Carnevale Ambrosiano. Nei giorni scorsi il resto d’Italia ha festeggiato il Carnevale “normale”, quello del giovedì e del martedì grasso. Insomma il Carnevale, con quel che può significare…il mascherarsi, l’assumere identità altrui, il capovolgimento dei ruoli eccetera eccetera, è intorno a noi.

Io non sono uno che festeggia molto a Carnevale. Non so trovare una ragione precisa. Ma nel corso degli anni, a partire già dagli anni tardo adolescenziali, non so, mi ha preso sempre meno.

Ho però almeno un paio di ricordi del Carnevale della mia infanzia.

Uno è che stavo (quasi) sempre male. Vuoi per il freddo dell’inverno, vuoi perché una roccia non lo sono mai stato, vuoi perché sai com’è con la mamma apprensiva, insomma ero sempre mal messo.

Ma quando non ero troppo mal messo, mi mascheravo eccome. Ed eccoci al secondo ricordo: mia nonna che mi crea il costume carnevalesco. Creare ritengo sia il verbo più adatto. Lo pensava, tagliava, cuciva. Su misura. A me e mio fratello, perché dovevamo ovviamente vestirci uguali…penso per la gioia della mamma ma non ho mai indagato.

Purtroppo non ho qui con me a Milano delle foto da poter postare. Ma credetemi sulla parola. Nel mio costume da leone (roarrrr) o da Zorro (banale, ma chi non ci si è vestito almeno una volta) ero proprio un figurino!

Nella ma città adottiva si muore.

Nella mia città adottiva si muore di morte violenta. Italiani uccidono immigrati, immigrati uccidono italiani, immigrati si uccidono tra loro, italiani si uccidono tra loro.

Ieri un egiziano di 20 anni è stato ucciso con una coltellata da un sudamericano, probabilmente della stessa età, per un pestone dato su un autobus. La vittima aveva appena conquistato il permesso di soggiorno. Posso solo immaginare la sua felicità e soddisfazione per avercela fatta. Non oso invece immaginare i suoi ultimi pensieri.

C’è una cattiva aria in giro. E non sono le polveri sottili.  Le principali responsabilità non possono che essere di chi governa su questa città, oramai da lungo tempo. E sembra destinato a continuare. Perché forse alla maggior parte di chi vive nella mia città adottiva va bene così.

I Milanesi, qualunque sia la loro origine, ammazzano al sabato questo si sa.

E mentre chiudo questo post nero, mi chiedo cosa scriverebbe oggi Scerbanenco di questa Milano multietnica, impazzita, volgare e arrogante.

Penso di non essere più in grado di scrivere un tema. O qualcosa di simile, ovvero un testo di media lunghezza, articolato, con un’introduzione un corpo e una conclusione.

Detta meglio: ritengo di non essere più in grado di esprimermi come quando ero al liceo.

L’ultimo acuto l’ho messo a segno con la tesi di laurea, di cui tutto sommato vado abbastanza fiero. Ma poi…il nulla.

Anni di lavoro passati a preparare presentazioni in power point, dove bisogna esprimersi per slogan, dire poco per dire tanto e viceversa, rincorrere i bullet point, aggiungere le clip art e le animazioni.

Oppure brevi, noiose e tecniche relazioni. O ancora riassunti di riunioni o call conference. Il tutto sempre ovviamente stringato e con gli immancabili bullet point.

Si aggiunga a a tutto questo una non naturale propensione a scrivere (la grafomania non abita da queste parti) ma il bisogno di allenarsi per riuscirci ed eccoci arrivati, più o meno, al titolo. Ovvero ecco una cosa che ho dimenticato “come si fa”.

E non è l’unica né sarà l’ultima. Diciamo che è quella che ho messo a fuoco oggi, tra una corsa sul tapis rullant (che non si scriverà così ma non ho voglia di controllare) e uno starnuto.

Nuove coordinate

Stavolta davvero ho pensato di chiuderlo

Inutile, tanto non ci scrivevo più. Tanto tutto oramai passa da Facebook. Non seguo più i vecchi amici, anche se qualcuno l’ho rincontrato su FB.

Poi la decisione di farci qualcosa di diverso. Di aprire dei capitoli, dei contenitori in cui metterci dentro delle cose. Con un certo ordine, con una certa logica, con un certo spirito.

Scriverò poco e nessuno verrà qui a leggere. Ma sarà ancora un modo per lasciare che qualche parola, e con essa qualche emozione o ricordo o impressione o sensazione, vaghi libera nella Ragnatela.