Il telefono risuonò nella camera.
Il suono arrivò al suo cervello molto lentamente, facendosi strada a fatica nelle nebbie del subconscio, dapprima flebile, poi sempre più insistente.
– Pronto?-
– Ti sto aspettando –
– Scusi?-
– …… –
– Chi parla?-
– …. –
Chiunque fosse aveva riattaccato. Si tirò su e si mise a sedere sul letto. Si sentiva la testa pesante, faceva fatica a ricordarsi dove si trovasse e perché. Normale. Lo avevano svegliato in piena notte e in malo modo. Respirò a fondo, scostò le lenzuola, entrò in bagno.
Dopo essersi lavato il viso, come se qualcuno avesse premuto il tasto on, il suo cervello riprese a funzionare.
Ecco. Era in un albergo, uno uguale a tanti altri, per una questione di lavoro. Sì, il giorno dopo avrebbe dovuto incontrare quel rappresentante di cosmetici cui doveva presentare un nuovo prodotto. Avevano appuntamento l’indomani mattina alle 10:00.
I caratteri rossi e nitidi dell’orologio digitale sul comodino dicevano 03:23.
“No, non poteva di certo essere lui che mi stava aspettando.”, pensò, “Qualcuno ha sbagliato numero e poi, resosi conto dell’accaduto, ha riattaccato subito. Poteva però almeno chiedere scusa per avermi svegliato.”
Rientrò in camera camminando lentamente, si sedette sulla poltrona e accese la televisione.
Vecchi film, televendite, repliche dei programmi del pomeriggio, annunci porno-soft, una tizia che legge le carte…off. Schermo nero. Stava per rimettersi a dormire quando sentì bussare forte alla porta. Due volte.
Per lo spavento gli cadde in terra il telecomando. I suoi piedi si fermarono e si incollarono al pavimento, tutti i muscoli si erano bloccati. Cercava di non fare alcun rumore.
Una voce metallica e priva di espressione giunse dal corridoio – Ti sto aspettando –
Passarono alcuni minuti, poi i suoi muscoli riacquistarono la forza e la volontà di muoversi. Si avvicinò alla porta e guardò dallo spioncino.
Corridoio deserto.
Istintivamente aprì la porta e mise la testa fuori per vedere chi c’era, ma non scorse nessuno.
Se ne sarebbe dovuto rientrare in camera e lasciar perdere, invece richiuse la porta dietro di sé e si avviò lungo il corridoio, vestito solo del suo pigiama blu.
“Giusto così, per dare un occhiata”, si giustificò, “voglio vedere chi è che si diverte a rompere le scatole alla gente nel cuore della notte”. Girò l’angolo e arrivò nel pianerottolo degli ascensori, che era stato abbellito da due enormi vasi con dentro delle piante di cui non avrebbe saputo indovinare il nome.
Si fermò un istante.
Seduto sul bordo di uno dei due vasi c’era un vecchio.
Notò che era ben vestito, con un completo scuro, ma che non portava le scarpe. Cominciò ad avvicinarsi con passo timido. Guardandolo meglio non lo si sarebbe proprio definito un vecchio, però aveva il viso così stanco e segnato da profonde rughe che sicuramente dimostrava più anni di quanti ne avesse in realtà. L’uomo seduto, tuttavia, non si mosse, né voltò la testa per guardarlo.
-E’ lei che mi stava aspettando?- chiese.
Di scatto, il vecchio si girò e gli afferrò il polso con forza. La sua mano era gelida.
——–
L’orologio da polso segnava le 8 e 30. L’addetta alle pulizie stava finendo il consueto giro del corridoio, imprecando dentro di sé perché quello era solo il quarto e di piani ne doveva fare ancora sette. Arrivò all’ascensore, lo chiamò e attese.
Nel mentre, si accorse che c’era qualcosa per terra, vicino a quei due vasi con le piante, che a lei proprio non piacevano ma che la direzione aveva fortemente voluto mettere su ogni pianerottolo.
Guardò meglio, era un pigiama blu..
(Borellino delle Fratte, XXI sec. d.C. –I Racconti del Cane Alsaziano)
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